«Pecunia non olet»
di Maria Spina
«La Roma imperiale disponeva di ben 144 latrine plurime pubbliche (foricae) per un totale di 4000 posti a sedere. […] Dobbiamo riconoscere ai Romani un’eccezionale percezione nel saper valutare ciò che davvero serve per consolidare il potere. Una “visione” del benessere umano legata alla realtà quotidiana e non alle apparenze effimere, al futile» (da Giulio Guizzi, Pulizia igienica e sanificazione. La sporca storia del pulito, Ed. LSWR, Milano 2015). All’epoca, infatti, i gabinetti pubblici – a pagamento e gestiti da appaltatori del fisco (conductores), anche in funzione del fiorente business collegato al riciclo di urine e feci – sono luoghi riccamente decorati dove la gente si incontra e scambia due chiacchiere nonostante l’odore non debba essere, presumibilmente, tra i più gradevoli. A distanza di duemila anni, con una popolazione quasi triplicata rispetto a quella di Roma imperiale, la percentuale dei “posti a sedere” è quasi azzerata mentre è del tutto scomparsa la cultura del gabinetto pubblico. Eppure, nelle zone centrali della città, gravitano circa 8000 persone senza fissa dimora per le quali la Comunità di Sant’Egidio ha predisposto la guida Roma. Dove mangiare dormire, lavarsi, 2016. Paradossalmente, alle pagine 45 e 46, un elenco di WC informa su orari e prezzi di impianti molti dei quali sono purtroppo chiusi da mesi per dare corso all’opera di riqualificazione prevista per il Giubileo, (Comunita_SantaEgidio_Guida_Roma_Dove_2016_def_std). Piazza Santa Maria Liberatrice ne costituisce un caso esemplare.