I vespasiani di Francesco Guccini
di Maria Spina
«… sono stati tolti, aboliti, scomparsi dappertutto, da un giorno all’altro, costringendo austeri signori a girare frettolosi e, forse, doloranti, a sperare nell’apparizione di un bar ospitale, a ordinare frettolosamente un caffè non desiderato e a chiedere: “Scusi dov’è bagno?” per sentirsi eventualmente rispondere: “Non c’è qui il bagno, mi dispiace”, oppure: “Oggi il bagno è purtroppo fuori uso” con conseguenze, spesso, di grande drammaticità. Ma chi è stato a prendere la decisione di toglierli? Ma quando con precisione? Ma perché?» (Francesco Guccini, Nuovo dizionario delle cose perdute, Mondadori, Milano 2014). Almeno per quanto riguarda Roma, la risposta a questi tre interrogativi sui vespasiani è parziale. Si sa solo che, verso i primi anni ’70, in nome del decoro urbano, quelle garitte di cemento grigio, aperte su due lati e dedicate esclusivamente agli uomini, sono scomparse; dovevano essere rimpiazzate da gabinetti pubblici in grado, finalmente, di soddisfare anche le esigenze femminili. I primi impianti furono realizzati in muratura; a seguire, quelli interrati e gli autopulenti. Attualmente, su un totale di 55 gabinetti, dislocati perlopiù nelle zone centrali, ne funzionano circa il 40%. Anche il WC interrato di piazza Esquilino, in prossimità della Basilica di Santa Maria Maggiore, risulta sbarrato da anni. E noi, proprio come Guccini, avremmo voglia di sapere: «ma chi è stato a prendere la decisione di chiuderlo? E perché mai? Che cosa si aspetta a riaprirlo?»