Costruiamo una Porta di Luce

di Carlo Severati

Il 16 marzo 2023, un giovedì, è stato approvato dal CdM il Decreto che riavvia la procedura per la realizzazione di una infrastruttura – il ponte – di collegamento stabile fra il continente e l’isola di Sicilia.

Collegamento previsto 43 anni fa in un piano dei due grandi architetti Giuseppe Samonà e Ludovico Quaroni, e ancora adesso sostenuto dai loro allievi; ancorché i Maestri sollevassero già allora qualche dubbio sulla possibilità di una campata unica.

Non sulla distanza minima in senso stretto, 3140, 3150, addirittura 3600, che ancora troviamo sul sito Treccani; ma sul fatto che, all’epoca, con ripetute misurazioni, quella distanza non fosse mai la stessa: con differenze, sia pure, di qualche centimetro, segno di una mobilità tellurica.

Si svolse in quegli anni un concorso nel quale apparve il progetto visionario di Giuseppe Perugini: un immenso anello nuziale poggiato sulle due rive capace di assorbire senza danno i piccoli spostamenti eventualmente richiesti.

La “Città dello Stretto” è la nuova creatura, mostruosa, splendida e scintillante che si vuole mettere in vita come novelli Faust; un omunculus, che si appresta a sconvolgere non solo territori, ma aria e acqua, che portano con sé talmente tanti apocalittici segni del sacro da dover essere protetti come un patrimonio dell’Umanità.

Non si tratta solo degli organismi marini bentonici, batiani o migratori che sarebbero ulteriormente sconvolti, dopo la recente immissione di fauna dal Mar Rosso per l’apertura del nuovo Canale di Suez, o degli uccelli di passo nelle loro migrazioni: da Omero a Virgilio, alle più giovani generazioni che tuttavia ancora percepiscono la sacralità del passaggio fatale, dominato da Iddu, l’Etna, fino a San Francesco di Paola, da Ulisse a Enea, u strittu è il passaggio chiave della civiltà mediterranea.

Un sacro che comprende la grande orca, delfini e pesci spada, i quali potrebbero non entrare più come è successo per i tonni del Golfo dell’Asinara con l’arrivo della SIR alla metà degli anni 1960.

Il progetto per “una Porta di Luce” qui rappresentato, firmato dall’architetto Carmelo Baglivo, ripropone il tema dello strittu in termini di aria e acqua; acqua e aria che, malgrado le trasformazioni territoriali realizzate e in atto sulle due sponde, conservano ancora intatto il carattere del sacro.

Luci che, dai superstiti piloni dell’elettrodotto del 1957, illumineranno il tratto di mare, spegnendosi quando stormi di pavoncella gregaria, o pellicani, migranti, in stagione, si appresteranno a sorvolare lo stretto.

Aria e acqua sacre, di una sacralità antica e contemporanea, legata alla perversione della natura che in quel punto crea in aria la lupa e la fata Morgana e in acqua tagli, scale di mare, garofali, bastardi, macchie d’olio: feroci turbolenze che nascono per il dislivello (qualche decina di centimetri) fra i due mari e per l’enorme massa d’acqua che a quasi sette chilometri l’ora fluisce nei due sensi a seconda delle maree.

Nelle mie frequentazioni di Reggio Calabria, 1976 e 1977, c’era ancora ancora qualche pellisquadra, falegname che usava la pelle seccata dello spada come carta vetrata, e qualche piccolo fondaco dove ancora si cuoceva direttamente sulla brace. Tracce, nel tessuto sociale, di quanto Stefano D’Arrigo aveva appena pubblicato nel suo romanzo, cominciato a scrivere nel 1956, ambientato sullo Stretto nel 1943: Horcynus Orca. Ritorno nelle terre d’origine di ‘Ndria Cambria: «Il sole tramontò quattro volte sul suo viaggio e alla fine del quarto giorno, che era il quattro di ottobre del millenovecentoquarantatre, il marinaio, nocchiero semplice ‘Ndria Cambria arrivò nel paese delle Femmine, sui mari dello scill’e cariddi».

Femminare: mitiche, abilissime e belle traghettatrici che invecchiavano subitamente all’arrivo sull’altra sponda.

Lo stretto, nella magistrale introduzione che Walter Pedullà fa al testo di D’Arrigo, è «la fessura della madre terra in cui si nasce». Il collegamento stabile non potrà non contaminare questa fessura e l’aria che su di esso respira; per poter attraversare, questo Gulliver deve mettere nell’acqua i suoi piedi, grandi come palazzi umbertini con cortile. Costruiamo invece una Porta di Luce.

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