GIANANDREA BARRECA disegno e costruzione

testi di Massimo Cardone; Eleonora Carrano; Carmelo Baglivo

di Massimo Cardone

Esiste in Europa una generazione, che potremo definire erasmus, che ha studiato nelle università degli anni ’90, e che ha avuto il difficile compito di traghettare i propri paesi fuori dai propri confini culturali. In Italia gli architetti che si affacciarono nelle università europee contribuirono alla fine del provincialismo ideologico e posero le basi di una nuova professione, dotata di solide basi culturali ma anche di uno sguardo globale.

Gianandrea Barreca è sicuramente espressione di questa nuova generazione di architetti che ha voluto accettare la difficile sfida della professione senza ricatti o pregiudizi morali, sapendo attingere a piene mani dalla migliore cultura architettonica degli anni del dopoguerra che soprattutto a Milano, città di adozione, ha trovato esempi illustri. Glocal si usava dire fino a qualche tempo fa, un termine oggi in disuso: sguardo globale e radici locali. Non si può parlare infatti dei lavori di Gianandrea Barreca senza entrare nel merito delle sue origini liguri. Dei liguri Barreca porta con sé, dentro la sua architettura, la passione e la perseveranza, ma anche un certo pragmatismo e tecnicismo, che tanta traccia hanno lasciato nel suo paesaggio, nei secoli modellato, con grande rispetto, alle vicissitudini dell’uomo.

Barreca lavora ai suoi progetti con meticolosità ossessiva e sapienza costruttiva; ne sono testimonianza i suoi disegni esposti insieme ai suoi progetti alla Galleria Embrice dal 28 maggio al 17 giugno: trame composte e scomposte che costruiscono architetture di facciate che ricordano le tracce e i segni della costa ligure; non una ricerca formale ma un disegno costruttivo e funzionale.

Da questa passione energica, oltre che dalla felice collaborazione con l’arch. Giovanni La Varra con il quale ha condiviso il suo intero percorso professionale nella città di Milano, nascono i progetti importanti esposti in questa piccola mostra: dal rigoroso edifico B5 della Rizzoli Corriere della Sera a Milano con la sua facciata mutevole e cangiante, costruito con il ritmo dei setti frangisole, al Campus Symbiosis ICS, scuola verticale nel quadrante in trasformazione di Porta Romana.

BARRECA TRA DISEGNO E COSTRUZIONE

di Eleonora Carrano

I disegni di Gianandrea Barreca oltre a documentare le fasi progettuali delle opere realizzate esposte, sono anche la testimonianza di un processo produttivo dell’architettura che negli ultimi decenni ha subito profonde trasformazioni. La crescente complessità tecnologica degli edifici, l’ingegnerizzazione del progetto, hanno determinato la crisi del ruolo dell’architetto oggi soppiantato dalla prevalenza del progetto che lo ha relegato ad essere una figura specialistica tra le tante, un segmento funzionale alla produzione del progetto. Eppure i disegni di Barreca sembrano felicemente smentire questa realtà e l’inevitabile avvenire: il progetto abbozzato con il tratto essenziale e nervoso, lo studio meticoloso del dettaglio e il dominio della forma che preconizzano con infallibile precisione l’opera realizzata, sconfessano la sua marginalità nel processo progettuale. Dimostrano semmai quanto, la capacità di controllo dell’opera da parte del progettista, possa imporre delle regole e condizionare i procedimenti di ingegnerizzazione della fase esecutiva, suggerendo persino una riflessione finale sul recupero della centralità del ruolo dell’architetto nella produzione del progetto .

FACCIATA E EDIFICIO

di Carmelo Baglivo

Per comprendere il lavoro di Gianandrea Barreca e inquadrarlo in un contesto storico, è interessante osservare come Barreca è inquadrato all’interno delle due pubblicazioni più interessanti, sulla architettura italiana, uscite nell’ultimo decennio.Nel 2015 e 2016 vengono pubblicati: la “Storia dell’architettura italiana 1985-2015’ di Biraghi e Micheli e “Architettura Italiana dal postmoderno ad oggi”, di Valerio Paolo Mosco. Entrambi i volumi descrivono questi ultimi anni di architettura italiana come un periodo estremamente florido, che, però, già da qualche tempo, sta affrontando una crisi economica che colpisce, soprattutto, i grandi progetti che operano all’interno del Project Financing. Infatti, a cavallo degli anni duemila era successo che molti studi di architettura si erano impegnati a concorrere nelle gare di Project Financing che, fino ad allora, coinvolgeva solo studi di professionisti locali e appartenenti al sottobosco politico – professionale. Il Project Financing favorisce la formazione di raggruppamenti con all’interno progettisti importanti e popolari. Queste gare portano inevitabilmente alla valorizzazione della parte più visibile, iconica e circoscritta dell’edificio, immediatamente riconoscibile come firma di archistar: la facciata. All’interno di questo fenomeno Biraghi e Mosco collocano lo studio Barreca e La Varra, guardandolo da due prospettive diverse. Roma e Milano; per Biraghi i progetti di Barreca si relazionano ad una forma di progetto che scompone l’edificio in modo pragmatico lasciando alla facciata un ruolo dominante.

Mosco vede l’edificio in maniera unitaria come portatore di un etica/estetica crociana. Più precisamente Biraghi scrive di “riabilitazione della facciata”, descrivendo il lungo percorso che parte dalla strada Novissima della Biennale di Venezia del 1980. La facciata è un organismo autonomo, fornito di un sistema decorativo classico dove l’architettura postmoderna concentrerà la sua ricerca formale recuperando linguaggi classico-popolari. Gli anni 90’ segnano il periodo in cui l’architettura postmoderna viene messa in discussione i nuovi linguaggi partono proprio dalla facciata, che, pur continuando ad avere valore estetico autonomo, perde i legami con la storia per diventare la firma riconoscibile dell’Architetto. Non dobbiamo dimenticare che, parallelamente al postmoderno, si continuano a sperimentare facciate, a Parigi si realizza il Beaubourg di Piano e Rogers. La facciata è l’interfaccia, lo spazio relazionale; ha uno spessore, è abitata. I potenti software fanno il resto producendo immagini iper-realiste. Valerio Paolo Mosco inserisce Barreca e La Varra nel capitolo “l’architettura assertiva”, in cui la fine del postmoderno si lega ad un processo economico – professionale. Per Mosco l’architettura di quegli anni ha un’immagine debole, confusa ed è poco appetibile ai grandi gruppi immobiliari. L’architettura assertiva ha delle regole formali definite: stereometria, equilibrio, chiarezza, è architettura che vuole dimostrare professionalità e identificare i suoi limiti senza superarli. Ora, se guardiamo gli schizzi di Gianandrea Barreca riusciamo a leggere questa ambivalenza. Sono disegni che esprimono molto del processo-percorso creativo che raccoglie i primi disegni generatori del progetto, per me i più interessanti, fino ai dettagli. Sono piccoli schemi spesso accompagnati da viste che prefigurano i volumi. È proprio da questi schizzi che si intuisce che il progetto è sempre alla ricerca di un’innovazione tipologica che parte dal disegno delle facciate. I disegni di Gianandrea dimostrano la maturità professionale e della ricerca, il superamento della scomposizione dell’edificio in parti che porta alla parcellizzazione del lavoro dell’architetto. Infine Barreca ci dimostra che la divisione tra pratica e teoria e l’accezione negativa del termine professione non hanno senso.