C’è «Latrina» e latrina…
di Maria Spina
Nonostante la vicinanza con piazza Navona ne faccia un luogo quotidianamente ambito da migliaia di turisti, i gabinetti interrati di via Zanardelli sono chiusi da anni. Da metà ottobre, inoltre, sono anche recintati con transenne che occupano buona parte dell’area pedonale su cui insistono.
Lontani i tempi in cui quel sotterraneo ospitò la mostra «Latrina», un evento cult nella mitologia underground di quegli anni, con gli artisti Alberto Parres, Mark Wingrave, Franco di Matteo, il fotografo Vincenzo Fazio e il performer Dominot. Una volta tanto, ed era il 1984, Roma aveva anticipato un percorso dell’arte che, nel resto dell’Europa, avrebbe trovato la sua consacrazione solo molto più tardi, a Skulptur Projekte del 2007, con l’installazione permanente Public Toilet Facilities di Hans-Peter Feldmann nei bagni pubblici della Domplatz di Münster. Sulla ricaduta economica di questa «rivincita della latrina», oggi, non abbiamo grandi certezze, tuttavia non ci sembra così peregrina l’idea che una condivisione estetica di un’opera d’arte pubblica possa, quanto meno, facilitare la condivisione di un’identità collettiva. Soprattutto in un caso come quello del gabinetto in cui, gioco forza, ci troviamo tutti coinvolti e accomunati, al di là di qualunque etnia, religione o cultura.