
2020 cronache pandemiche continua con il dialogo a più voci sull’architettura e la città davanti alla pandemia. Qui l’architetto e storico dell’architettura Carlo Severati riprende gli spunti sollevati dal collega Marco Petreschi
Come si vede, il dopo è già cominciato, ma non c’è.
Frammento di una interlocuzione scritta fra Architetti, che circola in rete da qualche settimana, il testo di Franco Tegolini, al quale ho dedicato un primo breve commento, suscita un intervento di Marco Petreschi, Architetto e Docente romano con esperienza internazionale.
La conclusione ecumenica del suo intervento – proprio nella misura in cui si allontana dagli stretti vicoli, spesso vie senza uscita, del dibattito architettonico – merita di essere integralmente trascritta.
Scrive Petreschi:
Ma come sempre avviene quando si pensa al futuro, è bene dare uno sguardo al passato. Nel mio caso, trovandoci attori di una tragedia, credo che Madre Natura ci abbia fatto capire che l’umanità non è altro che una monade nel mondo universo come narra un brano che ho recentemente riletto tratto dalle Operette Morali di Giacomo Leopardi che ci ammonisce rilevandoci che, comunque la mettiamo, comunque la giriamo, esiste una sola verità, vale a dire che noi siamo niente altro che una piccola particella della Natura che se ne frega di noi e che lei, per sopravvivere, ogni tanto ci dà una ripulita, non fermandosi neanche per un attimo a prendere in considerazione i nostri sforzi, le ricerche, i provvedimenti che portiamo avanti e era più le nostre emozioni o i nostri sentimenti, vale a dire le nostre vite. A pensarci bene non siamo noi che le diamo una mano?
Una simile conclusione, se volessimo interpretare il ‘noi’ come riferito specificamente agli Architetti ( ma sarebbe meglio dire ai progettisti di nuovi sistemi edilizi), consentirebbe una fulminante storicizzazione dell’ultimo secolo di storia architettonica.
Un secolo fa l’antropizzazione del pianeta (l’antropocene comincia secondo alcuni nel XVI secolo) consentiva l’idea di natura come di un campo nel quale l’opera architettonica trovava spazio per dialogare.
Grandiosi esempi si sono dispiegati nel panorama mondiale fino alla metà degli anni 1950, quando forse più propriamente, con la nuclearizzazione delle molte esplosioni atomiche sperimentali nell’atmosfera, comincia l’antropocene (Kazakistan; film: Un regalo per il Compagno Stalin).
Non è solo nella grande illusione dell’architettura organica, che Petreschi legge oggi come inadeguata per tutt’altre e marginali ragioni (il movimento organico, che ho tanto amato, anche questo come scrive il mio collega Pasquale Belfiore, per quanto sia affascinante, con i suoi spazi liberi aperti e flessibili rende difficile la coabitazione a cominciare dai rumori e gli odori) ma, in generale, per tutto il costruito potenzialmente dialogante, si pongono interrogativi sul conflitto strutturale architettura-natura.
D’altronde un architetto ‘compositore progettista’ (definizione che prendo in prestito da Paolo Marconi) porta la sua esperienza e la sua visione personale nella analisi.
Aspettiamo interlocuzioni di paesaggisti e conservatori, e di non architetti attenti all’ambiente.
Così vedrà Marco possibili soluzioni in alcune innovazioni tipologiche di piccola scala(climatizzazioni a pavimento, balconi vivibili quadrangolari, due servizi per facilitare la convivenza, adeguati isolamenti acustici per posizionare due o tre postazioni per lo smart working, sistemi di domotica che per ogni situazione imprevedibile di pericolo).
Per quest’ultimo caso, senza collocare la cosa nel quadro dei 16 goal UNESCO per l’idea di smart city, si rischia di ridurre il tutto ad un aggiornamento tecnologico di classe. Avrebbe più senso l’idea di una prospettiva di investimenti e tecnologie ambientali; come, per esempio, migliorare in tutto il mondo l’accesso all’acqua.
Anche in Italia (Gela); non solo a Lagos o Maputo, capitale divisa in due, di ca’ e di canisso, con la celebre discarica che è la mensa dei poveri.
Sotto il nuovo viadotto sul Polcevera, sulla realizzazione del quale Petreschi si unisce al generale osanna (per me un monumento di ingegneria arrogante come il precedente; offesa al paesaggio ligure, ancorché con minore impatto del precedente – un ponte da non ricostruire), grandi appaltatori italiani si sono pronunciati per il ‘restauro dell’Italia’ come area tematica del loro prossimo fatturato.
Anche i costruttori romani, con l’immancabile distinguo: adeguiamo il patrimonio residenziale, costruendo prima per delocalizzare i residenti.
Insomma, il tema del consumo del suolo, e se veramente un bellissimo edificio valga più del suolo che occuperà per almeno un cinquantennio, è generalmente considerato essenziale.
Marco evoca come altamente positiva, come un modo per costruire la città, l’esperienza italiana dell’INA CASA.
Non si può non essere d’accordo, anche se in quasi tutte le città italiane questa si è saldata alla rendita fondiaria, sostanzialmente senza una legge urbanistica, consentendo le periferie che conosciamo, costruite fino ai primi anni 1960.
Tralascio quelle parti dell’intervento che fanno capo ad un giustificato e generico risentimento nei confronti della politica, della comunicazione, dell’insegnamento dell’Architettura.
Abbiamo condiviso e abbiamo forse nostalgia per la nostra scuola, la scuola di un altro mondo. Di Gaetano Minnucci che portava gli studenti nei cantieri e anche di chi, negli anni successivi, come Paola Coppola D’Anna Pignatelli, apriva contatti internazionali e all’integrazione dell’Università con le strutture dello Stato.
Comunque, è di qualità architettonica della quale sempre si dovrà porre l’esigenza. Embrice si è assunto, nei suoi dodici anni di attività, responsabilità – delle quali c’è traccia nel sito – della sua attività espositiva ed editoriale1.
Ancora Petreschi:
……il ruolo dell’architettura potrà sembrare del tutto marginale. Cosa che personalmente non credo, anzi ritengo che poiché tale disciplina ha come obiettivo primario quello di migliorare la qualità della vita, questa dovrà assumere, passata questa pandemia, un compito rilevante. C’è però da dire che dagli ultimi decenni l’architettura ha perso molto di quel ruolo che da tempo deteneva riguardo alla salvaguardia del paesaggio, del territorio e dell’espansione urbana .
Bisognerà forse smetterla di usare il termine Architettura in astratto, evitando di ricadere nella distinzione Croce-Zevi fra architettura e edilizia. Sarà forse meglio quando riusciremo a confrontarci su alcune specifiche architetture. Buone e cattive.
Molte sono nemiche giurate sia della qualità della vita che del Paesaggio.
Sul quinto prospetto – il terrazzo, così definito da Petreschi – possiamo concludere con un accordo, anche se di basso profilo, che comprende Tegolini:
In sintesi dovrà essere curato finalmente il “quinto prospetto” che renderà più gradevole la vista dall’alto delle città, attualmente luoghi trascurati e fitti di antenne che deturpano gli skyline per non parlare dei tanti abusi realizzati sui piani di copertura degli edifici.
Resta da capire dove finiscono le antenne.
Carlo Severati
1. Il londinese Page High, nella linea del Low-Rise High-Density, sulla scia dello Studio di Carlo Melograni, con le cooperative edilizie di Paolo Meluzzi. Avrebbe potuto presentare il villaggio turistico in Sardegna il Petreschi. Oud a Rotterdam, due giovani Architetti romani, Valentina Ricciuti e Roberto Ianigro, D’Aiala Valva, Massimo Alessandrini, Gellner; il Werkbund, come radice, nei suoi limiti. A questo si aggiungono pochi inevitabili scritti di cronaca su alcuni interventi scandalosi, come l’ex Consorzi Agrari, la sostituzione edilizia del tessuto romano di inizio 1900, la tentata demolizione delle tribune dell’Ippodromo di Tor di Valle; una attenzione asistematica, che daremo anche alle nuvolette di cristallo di Mario Cucinella per Roma 3. Alla fine del 1900 ho presentato in Facoltà Shigeru ban e Ken Yeang, architettura light per le catastrofi e grattacieli ventilati naturalmente e che raccolgono acqua piovana.
immagine di copertina: Ken Yeang, http://www.interfacereconnect.com via ecofriendlyarchitecture
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